Quando ero bambino, mia madre mi spiegava che il genere femminile è inferiore a quello maschile, sia dal punto di vista fisico, che da quello intellettuale e spirituale. A riprova di ciò citava il fatto che le grandi personalità del pianeta: artisti, letterati, politici, filosofi, santi, scienziati e così via, fossero da sempre state, nella stragrande maggioranza dei casi, uomini.
Eppure, lei era una persona estremamente dotata di talento. Molto più di molti uomini. La famiglia e la cerchia degli amici lo riconoscevano in maniera esplicita. Aveva conseguito due lauree, un fatto assolutamente straordinario per una donna nata nel 1920 e per giunta in discipline scientifiche: chimica e farmacia. Era anche appassionata di letteratura, possedeva una spiccata sensibilità sociale, ascoltava musica sinfonica e jazz, pubblicava poesie, dipingeva. Era dotata di una speciale abilità e attenzione per le relazioni interpersonali che coltivava anche praticando, come dilettante ricercatissima, l’astrologia e la cartomanzia.
Mia mamma avrebbe voluto fare la medica ma suo papà, un ufficiale di artiglieria, vedovo da quando mia madre aveva 16 anni, lo impedì poiché, diceva, “non è un mestiere da donne”. Avrebbe poi voluto ripiegare sulla biologia, per andare a lavorare all’istituto Pasteur di Parigi, ma mio nonno impedì anche questa scelta poiché “una donna non può vivere da sola a Parigi”. Così mamma ripiegò sulla chimica e su un impiego nel laboratorio di analisi di un ospedale della sua città.
Poi si sposò, lasciò il lavoro e la città per favorire la carriera del marito. Ha allevato mia sorella e me, ha sempre goduto di una salute fragile, ha continuato a coltivare le sue molteplici passioni creative, le sue frequentazioni letterarie, l’attività di traduttrice di poeti francesi. Amava guidare l’automobile poiché, così diceva, questa attività stimolava la produzione di adrenalina, di cui era deficitaria.
Quando mi interrogo sulle motivazioni, così poco convenzionali, della mia scelta profondamente e precocemente femminista (a vent’anni, negli anni ’70, andavo già a distribuire nelle case il mensile dell’unione donne italiane), penso innanzitutto alla mamma. Penso all’ingiustizia subita dalle donne a cui la cultura patriarcale ha impedito di realizzare i propri sogni e di esprimere il proprio potenziale. Ciò che mi ha sempre indignato e addolorato di più, è l’idea di una donna di valore che si convince, a dispetto di ogni evidenza sperimentata nel quotidiano, del fatto che il genere femminile sia inferiore a quello maschile. Forse per poter sostenere il peso della sconfitta, della sudditanza e della paura. Come lo schiavo che si convince della ineluttabile legittimità delle sue catene, per giustificare ai propri occhi, la dolorosa mancanza della forza necessaria per potersene liberare.
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La storia di questo mese offre diversi spunti di riflessione e, nonostante racconti di una donna nata cent’anni fa, i temi che tocca sono sempre attuali: esistono ancora lavori considerati da uomini o da donna, la sicurezza delle donne di vivere, inteso in senso ampio come svolgere ogni attività quotidiana e umana, da sole, l’accesso delle donne al mondo del lavoro, la responsabilità del lavoro di cura. L’aspetto che ci ha colpito in particolar modo è la rassegnazione con cui la protagonista del racconto, ai tempi ragazza, accetta i limiti imposti da altri alle proprie aspirazioni. Abbiamo quindi desiderato soffermarci a riflettere sul cosiddetto « gender dream gap » ossia la differenza tra i bambini e le bambine nei sogni per il futuro . Alcuni studi hanno dimostrato che, a partire dall’età di cinque anni, molte bambine cominciano a perdere fiducia in loro stesse e ritengono di non essere intelligenti e capaci tanto quanto i loro coetanei maschi. Lo sapevate che le bambine già nei primi anni di vita smettono di credere di poter essere tutto ciò che desiderano a causa del genere a cui appartengono?
Ciò accade a causa anche di consuetudini e piccoli gesti, che talvolta adottiamo senza renderci conto. Guardate questo video creato dall’Accademia Barbie nell’ambito di un progetto contro gli stereotipi di genere:
Abbiamo chiesto ad Enrica Nicoli Aldini, scrittrice e autrice della newsletter
, di commentare il racconto di questo mese e aiutarci ad analizzare il fenomeno del gender dream gap. Enrica scrive:“La storia di vita vera che apre questa newsletter commuove perché intreccia ordinario e straordinario in un racconto che non è, come potrebbe sembrare, la cronaca di un passato ormai altro da noi, ma un monito a rendere giustizia ai sogni delle donne nel presente.
Straordinaria è la mamma, plurilaureata in un’epoca in cui solo unə studentə universitariə su quattro era femmina, coltivatrice di passioni artistiche, astrologiche e automobilistiche spesso considerate inopportune per le donne di allora, chiamate a consacrarsi completamente alla casa e alla famiglia. Ordinario è il ruolo che questa donna, come donna, ha dovuto accettare per se stessa, sacrificando i propri sogni con compostezza e dignità figlie del suo tempo.
Straordinario è il figlio, che nonostante l’ordinarietà degli insegnamenti ricevuti da bambino della sua generazione – l’uomo è superiore alla donna – coglie nella mamma un chiaro esempio del contrario. È con l’attivismo femminista che da giovane ragazzo rivendica i sogni sacrificati della madre: una scelta straordinaria perché precoce, come lui stesso la definisce, in un’epoca ben precedente al concetto di “uomo alleato”.
Sbaglieremmo se pensassimo che il gender dream gap – il divario tra i sogni di maschi e femmine sul proprio futuro – sia solo una testimonianza del passato. Al contrario, il racconto che abbiamo letto serve a ricordarci che le barriere tra una donna e i suoi sogni sono anche oggi storie di ordinaria quotidianità. Quante donne hanno il desiderio, le capacità, i titoli per dirigere un’azienda, fondare un’impresa, guidare il paese, ma sacrificano le proprie aspirazioni perché tutto attorno a loro – famiglia, scuola, società, esempi letti su giornali e libri, modelli visti in televisione – suggerisce che per una femmina sarebbe impresa straordinaria, e quindi inappropriata e irraggiungibile?
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Se le donne oggi rappresentano il 63% dellə laureatə in Italia, il tasso di occupazione femminile si attesta al 51% contro il 69% degli uomini, secondo il Gender Gap Report 2023 dell’Osservatorio JobPricing. Più la carriera avanza, più cresce il divario tra i sogni di uomini e donne: le donne rappresentano appena il 17% dellə dirigentə nel settore privato e il 33% del settore pubblico. Se la donna del 1920 coltivasse il sogno di diventare medica nel 2020, sarebbe incoraggiata da una maggioranza di donne nella professione (il 53,5% dellə medicə, secondo la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri), ma le risulterebbe molto difficile raggiungere una posizione apicale: solo il 17% dellə direttorə di strutture ospedaliere complesse sono donne.
Per garantire finalmente la capacità di sognare a chi di noi è femmina, bambina o adulta, dobbiamo partire dal nostro piccolo.
Se siete donne, riflettete: a cosa aspira il mio cuore? Sono vera con i miei desideri? C’è qualcosa a cui sto rinunciando, e perché? Cosa posso fare per riprendermelo?
Se siete uomini, chiedetevi: cosa mi aspetto dalle donne nella mia vita (mogli, figlie, madri, sorelle), e perché? Sto rendendo giustizia alle loro passioni, talenti, vocazioni? Cosa posso fare per sostenere l’anelito del loro cuore?
Come società, come possiamo far sì che la realizzazione di una donna nella pienezza del suo desiderio non sia nulla di straordinario, ma una storia di ordinaria umanità?”
E se domani fossimo liberə di sognare?
Rispondeteci nei commenti!
Mi è piaciuta molto questa newsletter